di Alex Vigliani
L’inverno è l’anno con più riti dell’anno. Il freddo, la paura del buio, l’incedere della luce che ritorna, han sempre portato l’uomo a invocare la fertilità della terra, il ritorno del sole e la purificazione attraverso fuoco e porte di passaggio.
Il lungo periodo invernale, dalle feste solstiziali conduce all’equinozio primaverile, quando il nuovo sole, diventato adulto, supera l’equatore celeste.
Rituali orgiastici, di divinazione e purificazione e poi altri, come quelli per Sant’Antonio, atti a propiziare gli dei preposti alla fecondità e alla fertilità.
Feste contadine, che dalla terra ascendono al cielo in un passaggio storico, verticalizzante, che come nell’elevazione religiosa dalla terra ascende alle divinità: diversi nomi cui uomini di ogni tempo han dato significati e identificazioni diverse. Eppure il collegamento, dal piano terreno, conduce sempre a uno più celeste e spirituale.
Quello invernale era il periodo che dava accesso alla primavera, antico Capodanno nella religione romana, contrassegnato da cerimonie per purificare gli uomini, gli animali e i campi, e per favorire, propiziando gli dei, il rinnovamento del cosmo.
Nel calendario odierno, è cosa nota, ritroviamo molte feste e cerimonie che sotto il velo di un Santo hanno funzione lustrale e fecondante. La più importante, la festa di Sant’Antonio abate, ingloba tutte queste funzioni e cade proprio oggi 17 gennaio.
Andiamo con ordine. Attualmente Sant’Antonio è collegato al fuoco. Considerato guaritore dell’Herpes Zoster, si vuole sia colui che ha portato il fuoco nel mondo degli umani. L’Herpes Zoster è il fuoco di Sant’Antonio.
Da dove? Direttamente dall’inferno. Gli agiografi cristiani collegano a questa funzione l’usanza di incendiare, nella notte che precede la festa, grandi cataste di legna, dette “falò di sant’Antonio”, le cui ceneri sono considerate amuleti. Ritorna l’azione purificatrice del fuoco delle funzioni più importanti in cui la porta di passaggio è cambiamento, speranza, visione futura. Qui, nel fuoco acceso, brucia ciò che resta del vecchio anno, compresi i mali e le malattie. Usanza, questa, che richiama al falò della befana, in cui si brucia ciò che resta del vecchio anno cui si è chiesto un’ultima prova di fecondità. Anche qui, tra l’altro, proprio come per l’epifania, si crede che gli animali possano parlare. E che nessuno li debba ascoltare, pena la pazzia.
Tornando al fuoco che Sant’Antonio avrebbe portato sulla terra, si vuole che l’eremita andò a bussare, con il suo maialino, alle porte dell’inferno. Quando i diavoli lo videro si spaventarono perché conoscevano i suoi poteri, e lo respinsero ma mentre stavano per chiudere la morta, entrò il maialino, che si mise a scorrazzare sconvolgendo la vita dei diavoli. Per risolvere il problema, pregarono sant’Antonio affinché ritornasse all’inferno per riprendersi la bestiaccia. Il santo scese nel regno dei diavoli con l’inseparabile bastone a forma di Tau. Durante la risalita, fece prendere fuoco il bastone, così appena giunto sulla terra poté accendere una catasta di legna e da allora il fuoco ha riscaldato l’umanità.
Sant’Antonio custode dell’inferno, sant’Antonio portatore del fuoco, ovvero della vita agli uomini. Tutte queste storie, collegate ai santi dei primi secoli, celano un nucleo precristiano dove il maialino era in realtà un cinghiale come riportato da talune raffigurazioni tra cui questa che vi propongo allegata in articolo presente nel Santuario della Madonna della Neve di Auro in provincia di Brescia.
E qui il collegamento si fa molto interessante e il viaggio, quello delle simbologie e dei rituali, ci porta nei villaggi tambureggianti dei celti, tra fuochi e paesaggi del nord.
Il cinghiale era difatti l’attributo di un dio celtico rappresentato come un giovane che porta in braccio l’animale. Il dio-cinghiale era il simbolo di Lug, rappresentato anche come dio-cervo e dio del gioco. Lug era colui che risorgeva assicurando la resurrezione dell’uomo e ogni anno, il ritorno della primavera, della “luce”, pacificando l’uomo con gli elementi più duri della natura. Garante Lug di fecondità e di nuova vita. Il Dio – Cervo che risorge al termine dell’inverno, il nesso, il collegamento sebbene in forme differenti, è assai suggestivo e riporta al rituale dell’uomo cervo a Rocchetta al Volturno (Molise) dove vi è la pacificazione dell’uomo con gli eventi dell’inverno, la morte dell’uomo cervo e la resurrezione attraverso lo sciamano, il cacciatore, in grado di togliere e dare vita.
In molte leggende dell’area celtica si narrava la caccia al cinghiale immortale attuata per impadronirsi di un pettine e di una forbice posti fra le sue orecchie: allegoria della comunione, in forma di cosmesi, con il dio Lug del quale i capello impomatati in forma di cotenna erano il simbolo. Gli stessi sacerdoti druidi, erano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”, il cinghiale bianco è tra l’altro segno di elevazione spirituale.
I Celti, convertiti al cristianesimo, hanno probabilmente trasferito gli attributi di Lug su sant’Antonio, le cui reliquie erano giunte proprio nelle loro terre, in Francia. In seguito il cinghiale fu sostituito con il maialino, per estirpare il ricordo dell’antica religione precristiana giustificando il maialino con diverse leggende e storie legate a Sant’Antonio che a livello simbolico rendono scheletrica la funzione apotropaica e sacra dell’animale.
Sempre a proposito di simboli, la campanella antoniana, che il santo porta con sé nell’iconografia tradizionale è il simbolo della morte e della resurrezione, anticamente la campanella era simbolo del ventre materno, connessa alla Grande Madre. Lug e Sant’Antonio, figure che si posizionano tra la morte e la resurrezione, tra la morte del vecchio e la nascita del nuovo anno. Il fuoco di chi regna sugli inferi, così come Lug, Sant’Antonio diviene custode dell’inferno e capace di salvare le anime destinate alla dannazione.
Seguendo il sentiero che incontra a un bivio la religiosità pagana e cristianità medioevale, connesse entrambe con la tradizione agro silvo pastorale di molte zone d’Italia, si può spiegare l’enorme popolarità di Sant’Antonio Abate e della sua festa in cui, si portano a benedire gli animali domestici per scongiurarne le malattie e favorirne la fecondità.
In questa cerimonia l’eco delle lustrazioni antiche è chiaramente percepibile, di conseguenza la memoria del Santo egiziano, eremita nel Tebaide, svanisce in una fusione di riti, alcuni romani, altri di origine celtica, che hanno la funzione di favorire l’avvento della primavera – della rinascita.
Fonti: Alfredo Cattabiani, Calendario: le feste, le leggende e i riti dell’anno