Lettera d’amore al Canada Atlantico, terre di sogni al di là del mare

Lettera d’amore al Canada Atlantico, terre di sogni al di là del mare

di Luana Ricci

 

Il grande sogno americano inizia da qui. Da quelle province marinare dell’Est che guardano all’Europa. Terre di confine, di pescatori e di villaggi solitari sferzati dal vento; tante culture, lingue e bandiere in questo piccolo avamposto di mondo, a tratti arcaico, bagnato dalle imponenti onde dell’Atlantico.

Le storie che racconta la gente che vive quassù vengono da lontano. Le origini francesi degli Acadiani si riflettono nelle architetture, nei luoghi, nelle strade.
Pochi chilometri più avanti i nomi dei villaggi son scritti in gaelico e dai pub risuona musica tradizionale irlandese. Con orgoglio c’è chi rivendica il suo essere figlio di Scozia. E poi c’è l’Africa.

I porti hanno tanto da raccontare e tanto da insegnare, così come il mare e la sua gente.
Le province dell’Est Canadese da sempre accolgono chi viene da lontano e hanno accolto anche noi in un
abbraccio caloroso.
Dopo qualche giorno nella bella Montréal siamo arrivati ad Halifax, graziosa città portuale della Nuova Scozia e
centro principale delle Maritime Provinces. Da lì ci siamo spostati pian piano verso Nord, prima sull’isola di
Terranova e poi di nuovo sulla terraferma nel solitario e inesplorato Labrador.
La Nuova Scozia si è rivelata fin da subito una terra magica, surreale nella sua essenza più profonda.
Le giornate son trascorse vagabondando tra le immagini di un film e una Natura di una maestosità immensa,
indescrivibile a parole. Un momento potevi farti il bagno nelle acque limpide dell’Oceano Atlantico, l’attimo
dopo eri immerso nella Foresta Acadiana, completamente disabitata, che occupa gran parte del cuore
dell’isola. Abbandonarsi alla foresta è un’esperienza incredibile. Sei completamente fuori dal mondo abitato
dagli uomini, laggiù sulle coste; molto vicino, ma così lontano. Il timore di incontrare i veri abitanti del luogo fa
la voce grossa ad ogni passo e i sensi sono sempre all’erta. Ogni emozione è amplificata, ogni rumore. Il fruscio
del vento tra le foglie è un brivido lungo la schiena.
Nella bella Cape Breton Island, sede dell’omonimo e incredibile Parco Naturale le foreste sono popolate di alci,
coyote e orsi; e proprio l’orso ha fatto capolino lungo un sentiero che stavamo percorrendo, monito a sorpresa
di un involontario calo d’attenzione.
I villaggi di pescatori, sospesi in un tempo lontano, le spiagge infinite e le scogliere così a picco sul mare da
togliere il fiato, compensano la solennità della foresta e son lì ad aspettarti per placare l’animo e le sue paure.
Ed è lungo le coste che ogni sera abbiamo scelto il nostro lussuoso alloggio per la notte, nella nostra piccola
casa a 4 ruote, abbandonandoci al sonno cullati dal rumore del mare.
Ripenso spesso a quel momento quando alle 6 del mattino, seduta su un tronco portato dal mare sulla spiaggia
del piccolo villaggio di Dingwall, vivevo la magia di quel primo sole del giorno che aveva ormai preso il posto di
un’alba perfetta.
Lo sbarco sull’isola di Terranova ci ha catapultato in un nuovo mondo. E fu così anche per i Vichinghi che
arrivarono qui 4 secoli prima di Cristoforo Colombo, incontrando le popolazioni native e ponendo il definitivo
sigillo sulla grande saga migratoria del genere Homo.

Terranova è da sempre la porta tra l’America e l’Europa. Qui arrivarono invano i primi segnali di allarme dal
Titanic; qui arrivano a giugno gli iceberg dalla Groenlandia rendendo magica la baia di Twillingate.
A Terranova, terra e mare si uniscono in un gioco incredibile scolpito dai ghiacci e il pianeta rivela alcuni dei
suoi segreti più antichi e primordiali. Le balene fanno capolino dall’Oceano e orsi e alci si nascondono nella
fittissima, immensa e disabitata foresta interna.
Anche qui le coste pullulano di vita, mente il resto è un mistero inesplorato.
Terranova è un viaggio nell’irrazionale; difficile prendere le misure con certi spazi infiniti. Impossibile abituarsi
ai chilometri e chilometri apparentemente così uguali ma in realtà così diversi.
Lo spazio e il tempo svaniscono annichiliti da una vita di provincia che scorre lenta e che ogni giorno offre una
piccola scoperta, mai eclatante ma sempre ricca di emozioni.
Talvolta però accade l’inaspettato e si rivelano all’improvviso quelle immagini simbolo che rimarranno impresse
in eterno nella memoria; quelle che son sogni diventati realtà.
Immagini che poco dopo averle assimilate, sanno già di nostalgia.
Con Terranova ci siamo salutati così, con la sua immagine più bella. Estasiati in cima al mondo, in una realtà
sospesa tra cielo, roccia e acqua, ad ammirare l’iconico fiordo del Western Brook Pond.
Un alce, re del bosco, ci ha salutato al nostro ritorno. E un tuffo pazzesco nelle acque fredde del fiordo ci ha
risvegliato e ci ha riportato alla realtà.
E infine c’è stata lei, la Big Land. Quell’avventura fortemente voluta per la sola pura voglia di scoperta. Quella
piccola deviazione fuori dai sentieri tracciati.
Prima della partenza mi sono imbattuta più volte nella frase “se vuoi vedere com’era il mondo prima dell’uomo,
vai in Labrador”. A seguire poche paginette striminzite di informazioni e poco o niente di assolutamente
imperdibile. Perché è così, anche il mondo è costantemente sotto giudizio e c’è la località da non perdere, e il
luogo da evitare perché “tanto non c’è nulla”. Forse perché manca quel “tutto e subito” a cui siamo abituati tra
le pareti di casa. Manca quell’effetto “wow” di cui andiamo sempre e in modo spasmodico alla ricerca, anche in
una semplice passeggiata in Natura; che fine a sé stessa non ci basta più.
E invece la Big Land mi ha spalancato le porte di un mondo diverso. Mi ha riportato in me, dopo qualche giorno
in cui mi ero nuovamente lasciata travolgere dall’ossessiva ricerca di qualcosa, perdendo la magia del semplice
perdersi in una terra lontana. Chilometri e chilometri di boschi, per lo più inesplorati fino all’artico, fino alla
terra degli Inuit e alla baia di Baffin, dritta Nord, molte miglia più lontano del mio sguardo. E solo guardare
dritto nell’immenso di questo nulla e immaginare terre ancor più lontane è valso la magia di essere arrivati fin
lassù.
L’immenso nulla del Labrador mi ha dato tanto. Abbiamo scrutato il mare dalla cima del faro più alto del
Canada atlantico, puntando verso il grande Oceano. Abbiamo fatto un aperitivo al tramonto e ci siamo
addormentati guardando il mare. Ci siamo svegliati nel cuore della notte sotto una cascata di stelle, che
riempivano quel buio assoluto. Un nulla che così pieno e luminoso non lo avevo mai visto in vita mia.
Nel nulla abbiamo percorso strade e sentieri; abbiamo costruito omini di pietra, ci siamo persi e ritrovati.
A questo nulla saremo per sempre infinitamente grati.
Ventotto giorni dopo è giunto il momento di tornare a casa; sono stati giorni di libertà allo stato puro, senza
vincoli, né schemi, alla ricerca di piccoli angoli di mondo solitari in cui rispecchiarsi.
Alla partenza mille emozioni hanno iniziato a far la voce grossa, trascinandoci in un turbinio indistinto di
sensazioni. La felicità è stata immensa, il grazie alla vita è eterno.

E per l’ennesima volta il rimpianto di non aver scelto altre vie diverse dalle strade del mondo è un pensiero
lontano.
La vita è bella, ma là fuori nel mondo lo è di più.

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