di Luana Ricci
L’ALBA PIU’ BELLA AI CONFINI DEL MONDO: LE ISOLE SHETLAND, SCOZIA.
“Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a
spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai
confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci
sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.”
Avete presente quei luoghi che, dopo esserci stati, vi si imprimono addosso come un tatuaggio?
Quei luoghi che sentite realmente essere il vostro posto nel mondo?
Ci sono luoghi che generano strane alchimie, di cui non ti limiti a calpestarne le strade, ma in cui entri nel profondo. Penetri nelle viscere di quella Terra e lei entra dentro di te.
Sono quei luoghi che non potrai ricordare senza una lacrima o il migliore dei sorrisi.
Ci sono albe più preziose di altre e colori più splendenti.
E’ una fredda mattina di Settembre di sei anni fa e dopo 14 ore di navigazione, avvolte nei colori
dell’aurora, avvistiamo le piatte coste delle Isole Shetland. Splendide sfumature rosate e arancioni
squarciano la coltre di nubi grigiastre che si confonde col mare del Nord, immobile e dorato sotto le luci
dell’alba. L’attracco a Lerwick, la cittadina più grande e popolosa dell’arcipelago, è una confusione di emozioni offuscate dal sonno e dal freddo: finalmente sei lì, incredulo, su quelle isole spoglie ma che brillano di un verde acceso, lontane molte miglia dalla costa scozzese, che avevi sognato ad occhi aperti solo poco tempo prima in una calda sera d’estate. Nello stereo suonava “Canzone dalla fine del mondo” dei Modena City Ramblers e la voglia di raggiungerla quella fine del mondo, per l’ennesima volta, aveva prevalso sul resto; l’irrefrenabile necessità di sentirti vivo, al posto giusto, aveva di nuovo deciso la tua strada.
E quindi eccoti in volo verso Glasgow e poi via, verso Nord. L’arrivo al porto di Aberdeen e quel cartello che ti indica la via per “le Isole Settentrionali”, in quel momento la tua personalissima “Ultima Thule” che sa di magia. Alla tua fantasia basta poco per sognare mondi lontani, immaginare antiche esplorazioni e “drakkar” di legno che solcano gelide acque color petrolio, ma la vista dei bellissimi traghetti della Northlink Ferries con sopra disegnato un vichingo che indica audace gli arcipelaghi del Nord confonde all’improvviso fantasia e realtà e tutta quella magia che immagini, forse la stai vivendo sul serio.
Così, dopo una notte agitata da onde grosse e sogni, trascorsa accampati sui divani del bar della nave,
finalmente sbarchiamo sulle isole. Ci accoglie al porto un cartello con la scritta “Welcome to Shetland” e il motto danese “með lögum skal land byggja” che ci ricorda che siamo in terra vichinga.
L’arcipelago delle Shetland è costituito da circa un centinaio tra isole e spogli isolotti rocciosi, di cui solo 16 abitati, gli altri stagionalmente popolati esclusivamente da colonie di uccelli, dispersi tra l’Oceano Atlantico e il Mare del Nord. Pur appartenendo giuridicamente alla Gran Bretagna è più vicino alla Norvegia che alla costa scozzese ed è stato sulla rotta degli uomini di mare sin dal Mesolitico. Nel IX secolo fu conquistato dai Vichinghi, prima di passare sotto il definitivo controllo della Scozia nel 1472, ma se ne parlava già nell’Antica Roma e da alcuni fu identificato come l’antica Thule, quella “terra leggendaria di ghiaccio e fuoco, a sei giorni di navigazione verso Nord dalla Gran Bretagna, dove il sole non tramonta mai”.
E’ proprio il suo splendido e variegato passato a rendere l’arcipelago delle Shetland un luogo unico al
mondo. Un avamposto di frontiera popolato da gente di mare, unica e fiera, più vicina culturalmente agli
Scandinavi che agli Scozzesi. Ed è grazie alle tradizioni vichinghe che le Shetland offrono il meglio di sé, in quelle notti di inverno in cui si celebra l’Up Helly Aa, una tradizionale festa del fuoco, animata dal suono di violini e da canti di battaglia, quando l’intera popolazione si riversa nelle strade di Lerwick, che culmina con la magia di un drakkar vichingo dato alle fiamme nella piazza della cittadina.
Noi siamo sbarcati sulle Isole a pochi giorni dallo storico fallimento di un ennesimo tentativo che voleva una Scozia finalmente indipendente dal Regno Unito. Nonostante, legalmente siamo ancora in Gran Bretagna, quassù si respira aria di libertà.
Ci basta percorrere pochi chilometri per uscire dal centro abitato. Subito ci immergiamo in immense
brughiere spazzate dal vento, punteggiate da piccoli loch e colorate di un verde smeraldo che diventa
ancora più brillante quando improvvisi raggi di sole tagliano le nuvole nere. Qui il vento soffia sempre
troppo forte e gli alberi non crescono. Ci sono solo immensi prati verdi che si interrompono in prossimità del mare; a volte degradano dolcemente a formare coste basse e lagune dalle acque calme, altre volte si interrompono bruscamente e formano ripide scogliere alte centinaia di metri, contro cui si scaglia impietoso l’Oceano Atlantico. Paesaggi unici, nella loro semplicità, forgiati dalla forza degli elementi che quassù danno prova di sé nella loro forma più pura.
L’importanza di alcuni paesaggi va oltre la mera estetica. Alcuni luoghi hanno qualcosa in comune con te. E ciò che ti porti dentro si rispecchia mirabilmente in ciò che è fuori. E quindi una scogliera che si erge a picco su un Oceano immenso e nervoso può esprimere la tua massima forma di libertà. E un cielo grigio che si squarcia all’improvviso regalando giochi di luci e colori, immaginabili solo a queste latitudini, ti parla dentro e ti fa sentire nel tuo posto nel mondo.
L’essenzialità del paesaggio si confonde con la semplicità della vita. Gli incontri sono rari; puoi trovare un gregge di pecore che occupa interamente l’unica strada che taglia l’arcipelago da Sud a Nord, puoi vedere delle tenerissime lontre che galleggiano nell’acqua calma, o i buffi pony “dalla folta frangetta” autoctoni delle isole e adattatisi a resistere perfettamente ai rigidi inverni di queste zone.
Ci sono pochi esseri umani qui, ma moltissima umanità.
All’imbocco di ogni fattoria è normale trovare una cesta con uova e prodotti della terra di cui puoi servirti lasciando un piccolo contributo.
E’ normale arrivare in un ostello sull’isola di Unst, la più settentrionale dell’arcipelago, e trovare la porta
aperta, priva di serratura. Poi entrare e leggere su una lavagna il tuo nome e quello dei tuoi compagni, con scritto “I vostri letti sono i numeri 3 ,4 e 5, siete i benvenuti! Se non ci incontriamo lasciate pure i soldi nella cassetta laggiù!”.
E’ normale che vi sia qualcuno che si diletta a decorare regolarmente delle anonime fermate dei bus per
rendere piacevole l’attesa di chi capita da quelle parti, in delle splendide cabine-museo.
E’ normale arrivare alle rovine di un antico castello, efficientemente incustodito e forse ancora abitato dai suoi fantasmi, trovare un cartello con su scritto “La porta è aperta, non serve la chiave”, le indicazioni per trovare le torce per illuminare l’esplorazione e il semplice invito a riporre il tutto dove lo avevamo trovato, dopo esserci goduti la visita.
E’ normale praticare la fiducia quassù, abbandonare i vincoli e lasciarsi andare ai preconcetti verso l’altro.
E’ un bell’esercizio di stile a cui noi, gente delle basse latitudini, non siamo abituati. Nessuno può
permettersi di abbandonare l’altro ai confini del mondo.
Viaggiare ha sviluppato in me una vera e propria ossessione per i confini del mondo.
Quando si è ai margini tutto è estremo e quei luoghi fieramente ostili e desolati, se osservati nel profondo, hanno storie incredibili da raccontare, gelosamente nascoste dal tempo, basta saper cercare.
Ed è questa la magia delle Shetland.
Percorrendo le sue strade puoi imbatterti in un antichissimo agglomerato vichingo, con le sue case basse
coperte di erba o puoi esplorare un vecchio drakkar arenato lì nei dintorni.
Osservando le sue rocce puoi tornare indietro nel tempo profondo, in Ere geologiche lontanissime e
toccare con mano le rocce che facevano da fondo all’Antichissimo Oceano Iapeto, prima che esse stesse
diventassero alte montagne, ormai scomparse per l’azione lentissima e costante dell’acqua, del vento o del freddo, in un eterno ciclo continuo.
Puoi tornare tra le pagine di Bruce Chatwin che, nella sua eterna irrequietezza, dalla Patagonia arriva alle Shetland alla ricerca di quell’inconfondibile e unico albatro dal ciuffo nero “Re delle Sule”, finito a nidificare, per un errore di rotta, proprio sulle scogliere di Hermaness, il punto più a Nord della Gran Bretagna.
Puoi rimanere per ore e ore ad osservare il mare infrangersi sugli scogli o il sole tramontare in acque scure e ferme, seduto su un prato, cosparso di vento.
Puoi ritrovare te stesso nell’essenziale come in nessun altro luogo al mondo e scegliere di imprimere per
sempre con l’inchiostro nero sul tuo avambraccio, una volta tornato a casa, quella che in fondo è solo una parte di te.