Di Francesca Mattiello
“Sogna ragazzo sogna” oggi risuona in una vecchia cuffia per walkman, fatta di spugna consumata ed un archetto che mi stringe un po’ la testa.
Una di quelle che, se la memoria non inganna, dovrebbe risalire all’estate del 1999, in regalo con il mio primo lettore CD color verde acqua; l’estate in cui sentii che qualcosa iniziava ad avere un sapore diverso, diversi come lo erano i miei occhi, non più così tanto bambini.
Fu l’anno di tormentoni come “Narcotic”, ballata in camera fino a cadere sfiancata sul letto, dei Cranberries che con “Promises” raccoglievano i miei primi tormenti, dei pomeriggi sintonizzati su MTV, dei ghiaccioli sciolti che ti appiccicavano le dita, del primo amore affidato ai Lunapop che con “La musica alzerà i toni e forte in alto brillerà” mettevano la firma alle prime dediche sui diari di scuola.
Anni che sanno di granite alla menta e profumo all’olio di argan spruzzato sulle pagine dei libri.
Fu la stagione degli amici riuniti ogni sera su un muretto di un palazzo ad immaginare di esser grandi, quando essere “distanti” all’epoca voleva dire vivere in due quartieri diversi della città; ma fu anche l’estate segnata da vespe truccate anni 60 che regalavano ai sogni grandi slanci, così lunghi da poter toccare la libertà con la punta delle dita. Dì lì a poco avrei iniziato le superiori, un altro capitolo da tracciare.
Di anni ne son passati, così come le canzoni. Ma la musica ha questo potenziale immenso: è capace di portarti ovunque, al riparo dai momenti incerti, rifugio di ricordi autentici. E’un viaggio che puoi compiere da fermo, scorrendo il cursore e spostandolo avanti e indietro, proiettandoti in momenti tanto presenti quanto lontani, tornando ad annusare profumi di memorie passate. Questo tempo puoi tenderlo come un elastico, scegliendo di allungarlo fino a toccare punti distanti o riducendolo alla sua reale forma.
Ed oggi fuori la nostra finestra questo tempo ha cambiato improvvisamente ritmo. Così inedito da suonare come una brusca interruzione ai nostri passi, così netto da sembrare una rottura del suono e della linearità del nostro ascolto.
Ma non per questo dobbiamo perdere il contatto e la voglia di muoverci per una destinazione diversa.
Perché è lì che nei momenti di caos e frastuono, di rumori che fanno saltare improvvisamente le nostre tracce audio, che possiamo ritrovarci intatti. Nessuno è perso davvero. Penso che la vita incida la sua scaletta con perfetta cura, quasi maniacale. Puoi mandare avanti e poi tornare indietro: rewind, play e poi di nuovo stop, in un viaggio che passa dal pop dei momenti scanzonati, al rock degli anni agitati, fino ai ricordi più preziosi segnati dai toni morbidi della musica leggera, sottofondo di un lento ballato in una stanza.
La musica è così. Chiave di violino di uno spartito capace di dare armonia a frequenze dissonanti.
Permette un viaggio diverso, un viaggio immobile, fatto di pensieri da lasciar correre, di ricordi da lasciare liberi di rivivere ancora e ancora una volta, di momenti che riprendono forma. E allora anche stando fermi è possibile creare movimento, è possibile muovere passi diversi in direzioni insolite.
Io oggi, a ventuno anni di distanza, mi sorprendo in un viaggio che mi porta di nuovo lì, nella mia vecchia stanza al pian terreno di una casa che mi ha accolta per una vita intera e che mi ospita di nuovo per tenermi al riparo da un presente insolito. Ci sono io con le cuffie un pò strette sulla testa seduta accanto a quella ragazzina con qualche anno in meno di me e con i capelli un bel po’ più corti di oggi e quella felpa blu che tanto amavo.
E insieme ascoltiamo Vecchioni che ci suggerisce ciò che oggi più che mai suona come la musica giusta da far risuonare fuori da quella finestra: “Sogna ragazzo sogna”.
Ed il tempo è improvvisamente solo una misura.